Il direttore Giovanni Capelli
Intervista del NUOVO DIARIO MESSAGGERO a Giovanni Capelli
di Maria Adelaide Martegani
Vorrei sapere qualcosa di lei: dove e quando è nato, percorso studi/lavoro
Sono nato a Imola nel 1969, dopo aver conseguito il Diploma di Perito Agrario e compiuto il servizio militare nell’Arma dei Carabinieri ho svolto l’attività di Assicuratore e attualmente mi occupo del settore immobiliare. Sono felicemente sposato da meno di un anno.
Come si è avvicinato alla musica? come è nata la sua passione per la musica?
Direi per caso ma sin dalla mia prima infanzia sicuramente.
Il primo incontro con la musica l’ho avuto in Chiesa, quando accompagnato da mia madre assistevo alla Messa domenicale. Ero talmente affascinato dal canto e dalla ritualità che vivevo il tutto come qualcosa di magico.
Avendo avuto la fortuna di frequentare una Parrocchia, quella di Linaro (Imola), in cui vi è sempre stata la cura per il bel canto durante le celebrazioni, questo mi ha da subito affascinato. Venni poi avvicinato dal Parroco di allora, Mons. Luigi Medri, il quale intuendo sin da subito la mia curiosità e le mie probabili potenzialità canore mi invitò ad inserirmi nel coro parrocchiale composto da adulti e bambini tra le voci bianche.
Quale è stato il suo percorso per arrivare alla scelta di diventare direttore del coro?
Sicuramente per necessità, infatti col passare degli anni si presentò l’esigenza di sostituire chi si occupava della direzione del coro, quindi sentendo il dovere di dare continuità a questo servizio mi improvvisai direttore di un gruppo di giovani coristi come me, i quali da subito mi riconobbero questo ruolo, sebbene non avessi titoli di studio o diplomi in musica o direzione, titoli che non ho tutt’ora, ma come autodidatta e con molta passione, si sa, si può fare molto.
Poi qualche notizia sul Coro interparrocchiale (come si arriva alla scelta del repertorio)
L’esigenza di trovare nuovi stimoli e nuovi linguaggi musicali mi portò quasi per caso ad ascoltare un brano durante una celebrazione che mi colpì talmente per la sua bellezza al punto di voler scoprire ad ogni costo chi era l’autore di quella musica che esprimeva allo stesso tempo umiltà e magnificenza e che dava anima a un testo altrettanto forte e intenso di contenuti, che scoprii essere poi una preghiera di san Francesco. Una preghiera che la tradizione narra essere scaturita dal Santo di fronte al crocifisso di San Damiano. Quel canto si intitolava “Alto e glorioso Dio” e l’autore era Marco Frisina. Subito fui mosso dal desiderio di mettermi alla ricerca di questo compositore che scoprii essere un Sacerdote, anzi un Monsignore, con l’incarico di responsabile dell’Ufficio Liturgico della Diocesi di Roma. Era il 1998, tentai di rintracciare quella partitura telefonando a Roma e quasi per una strana combinazione, scoprii che di li a pochi giorni, Mons. Frisina sarebbe venuto a Forlì con il suo coro, invitato ad animare una celebrazione eucaristica.
Vi andai senza indugio ed ebbi la gioia di conoscere Don Marco e la bella realtà del Coro della Diocesi di Roma da lui fondato nel 1984, cha raccoglie più di 300 giovani provenienti dalle parrocchie romane. Scoprii un linguaggio musicale che mi aiutò a ritrovare quella dimensione profonda ed interiore tante volte trascurata e mortificata che mi aiutava ad amplificare in modo nuovo la Parola di Dio.
Da quel momento decisi di eseguire quella musica e di proporre la stessa esperienza di quei giovani mossi dal desiderio di offrire un servizio alla Diocesi e compiere insieme un cammino spirituale e culturale attraverso il linguaggio universale della musica e del canto, mezzo di catechesi ed espressione alta di lode e devozione al Signore.
Nacque cosi nel 1998 il Coro Interparrocchiale che esegue i canti di Don Marco Frisina e che raccoglie giovani e meno giovani provenienti da diverse realtà della Diocesi. Sullo stesso modello del Coro della Diocesi di Roma sono infatti nate molte realtà nelle Parrocchie di molte Diocesi italiane ed estere, tra cui la nostra.
Quali difficoltà si incontrano, oggi, nel gestire un coro?
Le difficoltà stanno nel fare capire che un coro liturgico ha un ruolo fondamentale, quello di condurre il cuore all’incontro con Dio all’interno di una celebrazione in quanto è elemento di mediazione tra il mistero celebrato e l’assemblea, con canoni ben precisi.
Il coro ha il ruolo di innalzare l’assemblea verso il mistero e di tradurre il mistero per l’assemblea liturgica. Il suo canto non deve mai schiacciare il popolo di Dio riducendolo soltanto a mero ascoltatore passivo, ma deve coinvolgerlo il più possibile non solo direttamente, prevedendo interventi propri dell’assemblea, ma anche indirettamente, scegliendo brani di autentica religiosità e di profonda spiritualità. Altra cosa difficile da far capire è che la musica liturgica ha le sue regole, la stessa libertà di espressione di alcune partiture mal s’addice al senso stesso della Liturgia in una parola sono fuori posto nell’atto liturgico.
Non si può scambiare la musica nella liturgia per una sorta di show o di spettacolo perché è a servizio della preghiera liturgica.
Ci sono infatti diversi livelli di celebrazioni, quindi musica scritta espressamente per la liturgia, musica per la catechesi, musica per momenti di festa coi giovani, musica meditativa per nutrire l’anima. Quindi diversi modi per esprimere il nostro rapporto con Dio in musica. Il problema sta nel focalizzare bene il fatto dell’uso liturgico della musica e in questo ci viene in aiuto il canto gregoriano, che rimane in un certo senso normativo come ci dice il Concilio Vaticano II.
Non che il canto gregoriano sia l’unica musica oppure che solo copiando quello stile e quel linguaggio si fa musica autenticamente liturgica, ma in senso più profondo per le sue strutture, il gregoriano è la testimonianza viva di secoli di canto liturgico, in cui le esigenze della preghiera e della musica si sono incontrate. Per capire questo bisogna entrare con il cuore e la mente dentro il mondo della preghiera in gregoriano e occorre che sia pedagogicamente preparata, perché ci sembra ormai un canto lontano.
E necessario pertanto che il coro faccia un percorso spirituale che lo aiuti a comprendere che il servizio a Dio è la prima cosa.
Oltre a tutto questo, compito del direttore è anche dare l’entusiasmo giusto, che possa sostenere questa fatica.
C’è una ‘domanda’ di partecipazione sufficiente a garantirvi la stabilità del gruppo?
Sino ad oggi sì, in questi dieci anni di attività del Coro si sono susseguite tante persone, più di un centinaio, al suo interno alcuni di questi amici hanno maturato scelte importanti alla vita consacrata e familiare, quindi continuiamo ad aver fiducia nella divina provvidenza senza dimenticare di essere solo strumenti al servizio della Chiesa e dei fratelli.
In un mondo ormai dominato da discoteche e ipod come si colloca un coro?
Il mondo contemporaneo soffre di una sorta di desertificazione dell’anima: sembra che trovare sorgenti fresche a cui abbeverarsi, estinguendo la sete profonda del cuore, sia una cosa sempre più rara.
Riservare momenti alla contemplazione diviene un lusso di pochi, fermarsi a meditare e riflettere un privilegio di alcuni.
L’ascolto della musica può aiutare a ritrovare quella dimensione profonda e interiore che tante volte viene trascurata e mortificata; inoltre, il ritrovarsi insieme in questo ascolto in un coro di tante persone, aiuta a comprendere il valore sociale dell’arte che è occasione di incontro e di condivisione, di crescita personale e comune, per quella forza tutta propria che la bellezza esercita nel cuore di ognuno.
La musica è necessaria agli uomini perché risponde ad un’esigenza intima, quella di far conoscere le profondità del cuore dell’uomo di ogni luogo e tempo. E’ grande il suo potere; a differenza delle altre arti, è la più effimera eppure la più profondamente radicata nella vita degli uomini, la più “eterea” eppure la più fisica delle arti. Il “mistero” della musica sta nel fatto che di tutte le arti essa è la meno controllabile, i ricordi, i sentimenti, le emozioni spirituali più sottili trovano corpo in quest’arte.
Anche se parliamo di ambiti diversi, sicuramente i giovani sono inizialmente più attratti dal mondo delle discoteche, ma queste non possono certo aiutare a trovare quell’arricchimento spirituale di cui tutti hanno bisogno, soprattutto i giovani, e gli ipod non agevolano a vivere esperienze di incontro e di condivisione come in un coro, dove si fa grande esperienza di Amore, amicizia e fratellanza, perché cantare le lodi a Dio realizza profondamente e dà una gioia infinita al cuore.
Pensa sarebbe utile oggi che la liturgia desse più spazio alla musica e che si esprimesse nella lingua universale della Chiesa, il latino?
La Liturgia è il rinnovarsi dell’evento salvifico nella storia degli uomini, la porta aperta che ci mette in comunicazione diretta con la Redenzione di Cristo. Cantare questa redenzione è compito della musica liturgica che non solo è sempre sacra ma deve rispondere anche a canoni precisi dettati dalla Chiesa stessa che disciplina e sceglie l’uso della musica nella celebrazione dei misteri.
La musica nella liturgia non può essere considerata isolatamente, come ospitata nella struttura della celebrazione liturgica e nello stesso tempo indipendente da essa. Il primo equivoco che occorre chiarire quando si parla di uso liturgico della musica è che l’evento musicale non può essere considerato fuori dal contesto celebrativo.
Anzi, è la struttura liturgica stessa a suggerire e ad imporre il tipo di musica e di esecuzione appropriata.
La musica liturgica non è quella della esibizione concertistica ma quella dell’edificazione spirituale e dell’espressione della fede della Chiesa. Per quanto riguarda l’uso del latino, nel suo libro “Rapporto sulla Fede” l’allora Cardinale Joseph Ratzinnger, richiamando il Vaticano II, ci esorta a salvare e incrementare con la massima diligenza quello che chiama: “il tesoro della Chiesa”, mettendoci in guardia dall’ accantonare la musica sacra relegandola semmai a occasioni speciali, nelle cattedrali a vantaggio della “musica d’uso”, “canzonette, facili melodie, cose correnti”.
Inoltre nella Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium”, n°36, leggiamo “l’uso della lingua latina, sia conservato nei riti latini” “Si abbia cura che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell’Ordinario della Messa che spettano ad essi”. La cultura contemporanea sembra spesso distogliere la nostra attenzione dal sacro, sembra sempre tesa a profanizzare, banalizzare, squalificare le espressioni sacre per renderle troppo quotidiane.
Sarebbe però impensabile oggi immaginare una liturgia tutta in lingua latina visto che ormai l’abbandono dell’antica lingua è riconducibile a un mutamento culturale dell’istruzione pubblica, essendo ormai conosciuta solo da chi ha frequentato studi classici, ma allo stesso tempo non può andare perduto questo patrimonio.
La comunicazione di Dio è ancora oggi prioritaria e le esigenze della evangelizzazione non ci permettono di rifugiarci in torri d’avorio più o meno distaccate dalla realtà che ci circonda. Dobbiamo proporre, dobbiamo esprimere, dobbiamo cantare Dio con questi nostri fratelli, con questo mondo, con questi mezzi.
Occorre trovare una via nuova e nello stesso tempo antica per esprimere Dio attraverso la musica.